“Latinoaustraliana” pills : Il primo giorno in Australia
A Circular Quay tirava un vento incredibile. Una scuola stava facendo un picnic sul prato, accanto al museo d’arte moderna. Tutti i bambini indossavano ridicoli cappelli con la veletta.
Il Quay è una passeggiata che si appoggia pigra sull’acqua della baia di Sydney e lecca le gambe della città. Sulla sinistra c’è il ponte, a destra l’Opera House. Lo skyline coi grattacieli che riflettono il cielo blu elettrico non sembra nemmeno così orribile. Passai accanto a un uomo anziano con una camicia bianca molto larga che diceva alla moglie: “Guarda, sembra proprio come nelle foto!”. Mi trovai un punto tutto mio.
Il ponte è il mio preferito. Non è niente di particolare, in fondo. Un ponte del cazzo.
Però è bellissimo.
Lo guardai a lungo sentendomi, per la prima volta, DAVVERO in Australia. Per me l’Harbour era come i canguri, i koala e Crocodile Dundee per tutti gli altri: qualcosa che c’è solo qui.
Camminai piano verso l’Opera House. Andavo a testa bassa tra i turisti, leggendo le lapidi lungo il Writer’s Walk, con frasi di scrittori famosi sull’Australia. Il sole andava e veniva, mentre alcuni pazzi si facevano un giro nel motoscafo jet a 110 km/h che li lasciava bagnati e goduti.
L’Opera House mi sembrò subito la costruzione giusta nella città giusta. Stravagante, fresca, naturalmente bella. Appariva come un’enorme nave pronta a salpare. Il suo colore cambia a seconda del sole, e di notte rilascia la luce danzando come un fantasma nelle acque nere della baia. Da vicino le piastrelle la fanno somigliare ad una gigantesca tartaruga.
Per coronare la mattina decisi di gustarmi una birra nel bar sotto l’Opera House. Andai per una Carlton Draught. Mi sedetti ad un tavolo con quella vista niente male. Davanti il ponte, dietro l’Opera. Li valeva tutti, quei 7 dollari. Peccato che la scorta stava finendo.
Feci un salto all’internet cafè vicino all’ostello, giù a George Street. Lessi un paio di email, risposi. L’Italia sembrava già lontanissima.
Su Gumtree, un sito specializzato in lavori per backpackers (viaggiatori a poco prezzo come me) trovai un annuncio interessante. Cercavano italiani madrelingua, nessuna esperienza, nessun requisito. Pensai che ci rientravo.
Scrissi un curriculum in fretta, inventai un paio di cosette, ci misi delle finte referenze e spedii il tutto.
Quella sera feci un giro su George Street. Ancora non mi ero abituato ai negozi che chiudevano alle 5 del pomeriggio. Pensavo, se la gente esce dagli uffici alle 5, che cazzo di senso ha?
I pub però restavano aperti oltre le cinque, così nessuno si lamentava troppo.
Passeggiai per le strade, assaporando il fatto di essere straniero e non conoscere nessuno. È elettrizzante come sensazione, se la sai prendere. Ti può schiacciare come niente, specie la sera, ma in generale c’è dentro tutto quello che può farti sentire vivo. Ricominciare da zero. Esiste niente di meglio?
Camminavo senza fretta, senza appuntamenti, senza scadenze. Non avevo un piano, nè per quel giorno, nè per quelli a venire. Osservavo i gruppi di giapponesi davanti alle arcades, i vecchi che uscivano a zig zag dai pub a buon mercato. Le ragazze erano di una bellezza assassina. Camminavano leggere, senza nessuna aria da principesse. Anche se faceva freddo, indossavano vestiti cortissimi con cosce sempre in evidenza, cosce sane, fresche, cosce che ridevano da sole e che facevano ridere anche te. Cosce che non ti facevano sentire solo nemmeno quando eri nuovo in città. Ogni tanto le guardavo e loro rispondevano al mio sorriso.
Quel sorriso faceva miracoli.
tratto da Latinoaustraliana (Nativi Digitali, 2015, disponibile in formato libro e ebook). Per acquistarlo su Amazon, clicca qui.
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