“Lettere alle amiche” – Louis-Ferdinand Céline

Lei m’informa che raccontano delle cose su di me. Credevo m’avessero dimenticato. Io non vedo nessuno. Non leggo nulla. Non so. E non parlo. La mia vita è finita Lucie, il mio non è un esordio, è un epilogo nella letteratura, una cosa ben diversa –o piuttosto le mie vite, poiché insomma ne ho avute almeno tre o quattro ch’io sappia.

Céline era uno scrittore tosto, che di sicuro ha vissuto anche più delle “tre o quattro vite” che si attribuisce in queste lettere. C’è il Céline soldato, il Céline medico, il Céline romanziere. E poi quello che è stato più volte ricordato nel tempo, il Céline antisemita e controverso degli ultimi anni, che ha gettato un’ombra su una produzione letteraria con i controcoglioni, che come poche altre ha saputo illustrare tutti gli inghippi del Nocevento.
Tutti questi Céline si ritrovano nelle lettere che lo scrittore inviò a diverse amiche negli anni immediatamente successivi all’uscita di “Viaggio al termine della notte”, il suo capolavoro indiscusso. Céline, a quel tempo legato all’americana Elisabeth Craig (alla quale dedicò il “Voyage” e che quasi sposò, prima che lei decidesse di tornare negli States in pianta stabile), intrattenne una fitta corrispondenza con diverse altre donne –qualcuna come amica e confidente, altre come qualcosa in più. Al di là del puro pettegolezzo (che sarebbe irrispettoso in qualunque caso, specialmente nel caso di una personalità introversa e riservata come la sua), queste “Lettere alle amiche” (Adelphi) sono una lettura interessante per capire uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, di cui tanto si è scritto –a torto o a ragione- e finalmente si dà la parola al diretto interessato. Le “Lettere”, infatti, coprendo gli anni che coprono l’avvento del nazismo e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, servono a cercare di capire quello che tantissimi studiosi di Céline si sono chiesti negli anni: perché mai lo scrittore decise di prendere una posizione politica così netta e controversa, che finì solo per danneggiarlo sotto ogni punto di vista?
La domanda, in realtà, non riceve una risposta precisa nemmeno in queste lettere, e anzi diventa ancora più spiazzante. In quasi nessuna di queste lettere, infatti, trapela questa virata antisemita dello scrittore. Perché mai una scelta così importante come questa, tale da scriverci sopra i libri che gli hanno poi causato l’esilio e l’arresto, non viene mai menzionata in queste lettere in cui, pure, Céline si metteva a nudo? Il tono è spesso scherzoso, altre serio e contrito, ma quasi mai si parla di politica –pure in un momento in cui la politica stava per diventare il suo enorme passo falso.
Céline si limita a lamentarsi delle conseguenze di quei libri, del bando, della povertà, dell’esilio, della censura, degli anni di carcere vissuti tra gli stenti.
La domanda, quindi, resta irrisolta e anzi assume toni ancora più tragici e incomprensibili quando si legge la corrispondenza con N., donna ebrea con cui lo scrittore aveva intrecciato una relazione durata anni –proprio quegli anni in cui Céline versava il suo inchiostro contro gli ebrei. L’ultima lettera a N., in risposta a quella in cui lei lo informava che il marito era appena morto in un campo di concentramento, lascia davvero sbigottiti, e da forse la misura di quanto Céline fosse confuso al limite della disumanità.
Le “Lettere” restano comunque una lettura interessante, che fanno approfondire la psicologia di un autore profondamente rivoluzionario e affascinante, senza però rispondere alle tante domande che restano sospese. Non ci sono giustificazioni, nemmeno postume, che tengano. Consiglio questa lettura a chi conosce (e apprezza) già Céline –e per tutti gli altri, correte ora, adesso, in questo secondo, a comprare una copia di “Viaggio al termine della notte”, e lasciatevi sedurre dalle parole –che quelle, a differenza degli uomini, non deludono mai.

Di Louis-Ferdinand Céline ho recensito:
Viaggio al termine della notte (Corbaccio)

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