“I vecchi e i giovani” – Luigi Pirandello
I fatti avvenuti di recente in Sicilia (…) provavano come in tutta l’isola covasse un gran fuoco, che presto sarebbe divampato; e a rappresentar la Sicilia come una catasta immane di legna, d’alberi morti per siccità, e da anni e anni abbattuti senza misericordia dall’accetta, poichè la pioggia dei benefizi s’era riversata tutta su l’Italia settentrionale, e mai una goccia ne era caduta su le arse terre dell’isola. Ora i giovincelli s’erano divertiti ad accendere sotto la catasta i fasci di paglia delle loro predicazioni socialistiche, ed ecco che i vecchi ceppi cominciavano a prender fuoco
Alzo subito le mani: con Pirandello nemmeno ci provo. L’autore siciliano è stata una delle migliori scoperte delle mie letture dei vent’anni, e allo stesso tempo una delle tante cose importanti che la scuola stava riuscendo a rubarmi. Le sue Novelle per un anno, che mi sono bevuto fino all’ultima goccia, mi hanno instillato l’amore per il racconto breve che ancora oggi produce danni non quantificabili. I romanzi li ho letti e riletti, e non è ovviamente un caso se il protagonista della mia Latinoaustraliana si chiami Mattia Pascà, quasi come il “fu” di più celebre memoria.
Quindi da lettore, da aspirante scrittore, da italiano e da siciliano, non mi resta che togliere il cappello e farmi una risata, come sono sicuro che a Luigi sarebbe piaciuto.
Non posso, quindi, che parlar bene anche di questo suo romanzo, che non avevo ancora mai letto, di sicuro il più politico, e così lungo da richiedere una certa dedizione. Perché, verrebbe da pensare, qualcuno dovrebbe leggere oltre500 pagine di un romanzo, scritto in altra epoca e altro linguaggio, ambientato negli anni post-garibaldini?
Perché è Pirandello, semplicemente, e anche a distanza di tempo e di epoche diverse, la sua lingua e la sua verve restano vive e intatte. Ma non si tratta solo di questo.
“I vecchi e i giovani” è un’opera ampia, complessa, che coinvolge diversi personaggi e diverse storie, dividendosi tra l’Agrigento ( o Girgenti) di minatori e nostalgici borboni e la Roma dei traffici, della corruzione e della politica nascosta. Pirandello intende fotografare un momento storico in cui vede gli ideali e gli stessi protagonisti dell’epopea garibaldina (in cui l’autore, figlio di un reduce delle battaglie del 1860, credeva fortemente) trascinati nella polvere e traditi sia dal movimento dei nascenti Fasci siciliani, sia dal socialismo che dalla politica (che qui lo scrittore attacca con forza, dipingendola in una maniera non dissimile da come viene percepita in questi tempi anti-casta). E davvero, in questo romanzo a metà tra lo storico e il dramma, Pirandello ne ha per tutti, non risparmiando il socialismo, che sembrava aver ridato una speranza ai lavoratori della dimenticata Sicilia, così come le promesse dei Fasci. Lo scontro tra i vecchi e i giovani del titolo diventa, quindi, uno scontro tra vecchi ideali e nuove truffe, tra chi ha vissuto troppo nell’ideale, in un mondo più di rappresentazione che di realtà, e chi, privo di una guida, si è perso o ha trovato una strada che ha rinnegato tutto quel che c’era prima.
Tutto questo si ritrova in particolare nel personaggio di Mauro Mortara, un anziano reduce delle lotte garibaldine, che ancora ricorda con foga e passione idealistica, ritirato a vivere nelle campagne agrigentine dove racconta le sue gesta passate agli alberi della vigna. Mauro Mortara diventa simbolo stesso di tutta la storia alla base del romanzo, ma (almeno dal mio punto di vista, quindi decisamente opinabile) in particolare della Sicilia di fine secolo. Una Siciliache Pirandello vedeva come tradita dalla rivoluzione, umiliata dal Nord che l’aveva depredata di ricchezze prima e schiacciata con le tasse dopo, per poi dimenticarla completamente o controllarla militarmente come se si trattasse di una colonia e non del punto di partenza del processo di unificazione del Paese. Pirandello riconosce l’arretratezza di mezzi e di ideali che adesso pervade i suoi corregionali, che seguono idee che possano solo riempire la loro pancia, che si richiudono in un egoismo che poi è autoconservazione e anche protesta inconscia contro i tradimenti passati, che si lasciano manovrare da chiunque, finendo per ammazzarsi tra loro mentre a Roma i soldi continuano a passare da una tasca all’altra. E proprio a Roma Mauro Mortara troverà una grossa delusione che metterà di nuovo in dubbio tutti gli ideali che aveva così a lungo e gelosamente custodito.
Di più non voglio addentrarmi, perché già così sembro troppo serio e ciò mi spaventa. Posso solo aggiungere che “I vecchi e i giovani” non è sicuramente il romanzo più facile della sterminata produzione pirandelliana, sia per il tema (che richiede comunque un certo grado di conoscenza dei fatti storici del periodo) sia per lo sviluppo della storia in sé. Per quanto Pirandello sia sempre bravo a districare trame e drammi che mantengono vivo l’interesse, dall’altro può risultare faticoso (dal solo punto di vista narrativo) seguire e ricordare vicende e personaggi, che spesso agiscono sul filo del sottinteso. Di sicuro è necessario un certo impegno che, per chi già apprezza l’opera dello scrittore premio Nobel, verrà sicuramente ripagata.
Per i siciliani, vedo inoltre una spinta in più per leggerlo, soprattutto perché capire da dove veniamo (storicamente parlando) può aiutare a comprendere meglio dove cavolo stiamo andando (se stiamo andando da qualche parte in Sicilia). Consigliato.
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