“I capolavori” – Henrik Ibsen
Ho scoperto che l’uomo più forte del mondo è quello che è più solo.
“Un nemico del popolo”
Dopo Hamsun, ho deciso di restare in “zona” per scoprire un autore che avevo sentito citare spesso, ma sconoscevo completamente. E’ così che mi è capitato tra le mani questo “I capolavori” (eNewton Classici) di Henrik Ibsen –norvegese come Hamsun, appunto.
Di solito non mi interessa molto leggere opere teatrali, e ho cominciato questa raccolta con quella certezza, sottile e maligna, che ti prende di fronte ad un libro che sai già non finirai mai.
Posso dire di averlo letteralmente divorato fino all’ultima riga dell’ultima opera.
“I pilastri della società”, opera che apre questa raccolta pur non essendo la migliore, presenta subito degli elementi che rendono Ibsen interessante: personaggi ben definiti, dialoghi ragionevolmente veloci, struttura solida, una scrittura chiara ed efficace. Ma “I pilastri” mostra già anche ciò che rende Ibsen diverso, la cifra stessa della sua abilità. Nessun personaggio, infatti, è quasi mai quel che sembra all’inizio. Ibsen ti frega, piazzandoti di fronte ad una storia che sembra in tutto e per tutto simile a quelle del suo periodo, drammatiche e datate –e quando sei ormai sicuro di star leggendo un altro inutile melodrammone, la storia prende una virata imprevista. Non lo fa però (solo) in virtù di un colpo di scena: quello che avviene è, spesso, un cambiamento interno dei personaggi principali –un mutamento che poteva essere notato prima in qualche elemento sparso, che finisce per esplodere all’improvviso con violenza.
E’ quello che avviene in “Casa di bambola”, di gran lunga l’opera più conosciuta di Ibsen, da molti considerata il suo capolavoro. Nora, la protagonista, si presenta infatti come una donna volubile, superficiale, un po’ sciocca. Nei confronti del marito, sembra quasi una figlia davanti al padre. Nel giro di poche pagine, Ibsen ci farà vedere chi effettivamente è Nora, la sua forza così inaspettata da farci quasi vergognare per aver dato per scontato il suo personaggio fin dall’inizio.
La figura di Nora è così potente che molti sostengono Ibsen abbia toccato, anticipando i tempi, alcuni temi che poi saranno ripresi dai movimenti femministi.
Ma anche il termine “femminismo” può sembrare riduttivo per l’opera di Ibsen, che preferisce invece lasciar liberi i suoi personaggi, uomini e donne, di sbagliare, di sperimentare, se è il caso anche di abbandonare tutto o scegliere il suicidio, come succede in “Hedda Gabler”. Ibsen gioca con molti stereotipi del teatro di quegli anni, mostrandoci donne forti e risolute accanto a uomini deboli e assaliti dai dubbi.
Ibsen da anche una grande importanza al contesto sociale e politico. Molte sue opere hanno un sottotesto, a volte palese, altre più implicito, che rivelano la sua visione della società, del potere, dei media. In questo senso, “Un nemico del popolo” è un esempio perfetto, oltre ad essere l’opera che più mi è piaciuta. Nella parabola di Stockmann, che da eroe del popolo diventa nemico nel giro di quattro atti, si possono rivedere tutte le contraddizioni della società ottocentesca (e che il ‘900 avrebbe ereditato senza fare complimenti). L’autore è efficacissimo nella sua descrizione, tenendosi lontano dalle caricature e producendo un’opera che sembra quasi grottesca, che non mancherà di farvi incazzare. Perché lo so che suona come una frase fatta nauseante, ma questo racconto è più che mai attuale (ecco, l’ho detta).
Le altre opere del libro confermano la prima impressione: che Ibsen sia uno dei grandi, e di quelli ingiustamente dimenticati.
Consigliatissimo.
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