La barba di Dostoevskij (racconto)
«Quale…»
«Quale cosa?»
«Scusi, intendevo…»
«Dica, dica pure»
«Sì ma qui… insomma, non le sembra che…»
«Cosa? Si fa dei problemi? Parli, chieda in tranquillità»
«D’accordo… uhm… volevo chiederle, se posso, qual è il suo libro preferito…»
«Davvero lei comincia così? Ogni volta?»
«Va bene… ehm… riguardo la sua produzione, volevo sapere…»
«Produzione?»
«Sì, produzione»
«Bella questa, produzione… me la devo segnare…»
«Insomma, ma vede che anche lei, però!… Bene, faccia lei, visto che non le piacciono le mie domande…»
«Questo mi sembra un punto interessante»
«Quale, scusi?»
«Quello che non mi piace»
«Proviamoci allora… qual è un libro che proprio non le è piaciuto?»
«Già più sensata, ma sarebbe troppo lungo. Di merda ne viene stampata ogni secondo, ne converrà anche lei…»
«Sì sì… ma se proprio dovesse dare un titolo?»
«Direi il libro di ieri»
«Cosa?»
«Mi ha sentito. A proposito, ne vuole un altro?»
«No no, sto bene così, grazie. Che intende per libro di ieri?»
«Intendo quello che ho detto»
«Può spiegarsi meglio?»
«Il libro di ieri è l’unico libro completamente inutile, da cima a fondo. Non ha una trama, e quel poco di storia che c’è è patetica e noiosa. Di più: è insulsa. Non succede niente che uno non possa immaginare. Ne leggi poche parole e già sai come va a finire. Che senso ha leggere un libro già letto?»
«Già, che senso ha?»
«Era una domanda retorica. Mi sa che gliene verso un altro, ok?»
«D’accordo. Ecco, così basta, grazie. Mi dica di più di questo libro di ieri»
«Cosa vuole che le dica? Anche lei lo conosce. Anche gli analfabeti lo conoscono. È pieno di errori, di cose sbagliate. Come quei libri dove il protagonista ti fa incazzare per quanto è stupido. E poi ci sono le pagine bianche»
«Pagine bianche?»
«Sì, bianche. Il libro ne è pieno. È diverso dagli altri, dove succede sempre qualcosa, di bello o di brutto. Qui spesso non succede proprio niente»
«Non la seguo»
«Intendo che il libro di ieri è un libro dove sai già tutto anche se per ampi tratti non accade nulla. È un libro che fa acqua da tutte le parti. Puoi lavorare di fantasia mentre leggi, ma il libro resta sempre quello. Dimentichi subito quello che è accaduto una pagina prima. Non ti lascia niente dentro, se non la sensazione di aver perso un sacco di tempo. E quando è finito, è troppo tardi.»
«È una delle sue metafore? Lei gioca spesso con le simbologie e…»
«Fermo lì, per favore»
«Mi scusi?»
«Smettiamo di giocare a quelli che stanno parlando di qualcosa di serio. Non c’è niente di serio qui, tranne il bicchiere che lei sta tenendo in mano adesso. Nessuna verità. Le chiacchiere da sbronzi, sono una verità. I discorsi dopo il sesso fissando il soffitto, sono una verità. La letteratura, la religione, la filosofia, sono tutti giochini che servono a riempire quelle pagine bianche, senza mai riuscirci»
«Lo dice proprio lei?»
«Lo dico proprio io. Non m’interessano queste stronzate. Metafore, paradossi, la sua produzione… La mia produzione la faccio al cesso, o nella stanza da letto. Questo è solo un altro modo per fregare la Morte»
«Nega quindi l’esistenza di metafore e personificazioni nei suoi racconti, nelle sue poesie?»
«Lei insiste –ok, mi sono rotto il cazzo, ti do del tu, tu fai come ti pare- dicevo, tu insisti nel voler chiamare le cose con un nome che hai studiato da qualche parte, e qualcuno ti ha detto che quello era il nome giusto. Io so solo che l’ho scritto. Cosa ci vuoi vedere è un problema tuo. Vedi… ecco, la vedi quell’ombra lì? Quella che il fuoco proietta su quell’albero morto?»
«Sì»
«Ecco, quello è il riflesso che fa la luce del fuoco sulla gamba di Hank, lì steso per terra. Ma potrebbe anche essere uno stronzo di cane lasciato lì. Per i critici sarebbe anche la stessa cosa, lo so. Lo stai vedendo tu. Io posso solo suggerire.»
«Questo mi sembra quantomeno scontato-»
«Cos’è, provi a fare il furbo adesso? Vuoi che andiamo dietro l’albero morto?»
«No no, dicevo che sì, insomma, il problema della prospettiva è vecchio come l’uomo e costituisce la base per ogni studio serio di un’opera artistica»
«Ascolta, io ti racconto qualcosa. Una storia, un pensiero, una situazione. Puoi prenderla così com’è, in quanto tale, la leggi dall’inizio alla fine, e può avere un significato per te, oppure essere stata una grande perdita di tempo per tutti»
«Quindi lei nega il valore-»
«Aspetta, ho finito da bere. Torno subito. Vuoi niente, tu?»
«No grazie»
L’Autore si alza. Con una mano si toglie la sabbia dai pantaloni. La parte di lui che è stata più vicina al fuoco pulsa un po’. Si dirige verso l’ombra, vicino all’albero morto. Si abbassa verso una delle borse che stanno lì per terra. L’Autore prende una bottiglia di birra e torna dal Giornalista. Mentre cammina, incrocia Luigi.
«Come sta andando? Gliel’hai già detta quella cosa delle ombre, delle prospettive?»
«Sì, Luigi, gliel’ho detta»
«E lui che ha detto?»
«Senti, fammi andare. Poi ti racconto tutto per bene, promesso. Voglio levarmelo dai coglioni, così possiamo parlare con calma»
In quel momento qualcosa attraversa il fuoco e cade vicino ai due. Sembra una palla. È una testa. Qualcuno urla.
«E a te come va, Gigi? Che stai facendo?»
«Solite cose. Ascolto gli astri parlare. Penetro l’anima dell’Universo. Mi faccio una risata. Cose così.»
«Fai bene… Jack?»
«È andato via con dei tizi, dice che andava a comprare da bere e magari vedeva se rimediava un po’ di fica.»
«Perché non sei andato con lui?»
«Non mi va di bere stasera, e per la fica, ho già avuto mia moglie.»
«Sì, ho saputo. Brutta storia. Vabbè, non ci pensare più. E Fedor?»
«È in serata no. Parla solo di Dio e di roulette.»
«Se riesce a mettere le due cose insieme, diventiamo tutti ricchi»
L’Autore si incammina nuovamente. Vicino al fuoco, dall’altra parte, un paio di tizi suonano la chitarra. Intorno un buio totale, impenetrabile. Il mare, la spiaggia deserta, la boscaglia, nient’altro.
«Eccomi»
«Stavo dicendo –prego, faccia con comodo- sì, dicevo: quindi lei nega ogni valore universale all’Arte? Non pensa che l’Arte possa aiutare l’Umanità in qualche modo?»
«Meno male che ho da bere…»
«Mi scusi?»
«Dico che ne ho piene le palle della parola ARTE. Non vuol dire niente»
«Ma lì oltre il fuoco vedo la barba di Dostoevskji, se non m’inganno…»
«E con ciò? Anche nella porta dei camerini di Britney Spears c’è scritto “ARTISTA”. Tutti sono ARTISTI, quindi che senso ha più quella parola?»
«Non può negare però il peso che Dostoevskji ha avuto per lo sviluppo della letteratura moderna…»
«Io invece ti dico che posso negare qualsiasi cosa. Dostoevskji poteva essere un coglione come chiunque altro. Non m’importa delle cose a cui uno deve credere per forza. Van Gogh era un grande anche prima di morire. Il fatto che la gente ora compri i suoi quadri per milioni non aumenta il suo valore come persona.»
«Vorrà dire –come artista»
«Mi interessano le persone, non gli artisti. Ma esistono poi, questi artisti? Che faccia fanno quando sono al cesso? Sono geniali anche lì?»
«Beh, l’artista è colui che, tramite l’ausilio della sua Arte, arriva alla rappresentazione delle sue idee, della sua coscienza, della sua percezione del mondo, dei suoi desideri»
«E questa dove l’hai letta? Nei Baci Perugina? Ti dico io cos’è: l’artista è quello che deve sempre sfidare i suoi limiti, e si sveglia senza rimorsi la mattina dopo»
«Come la gente qui?»
«Vedi, io non so cos’è l’ARTE. Sono un ignorante, e fiero di esserlo. Qui intorno vedi premi Nobel e straccioni, gente che i critici amavano e altri che odiavano. C’è gente simpatica e antipatica, quelli che si sono ammazzati a vent’anni e quelli che hanno campato fino ai novanta. Alcuni scrivevano, altri cantavano, altri ancora dipingevano. Non m’importa se sono artisti o meno. La loro follia, è quello che m’interessa. Quello che hanno da dire quando tutti dormono, m’interessa. Bevo con loro, parliamo insieme, ci passiamo la Ragazza, è tutto»
«Ragazza? Che Ragazza?»
«Nessuno di noi sa il suo nome, così la chiamiamo semplicemente “la Ragazza”. Per ognuno è diversa, con ognuno ha una storia diversa. A lei sta bene. Un po’ di fica non guasta mai»
«Beh, ma voi…?»
«Ma sì che hai capito. Stiamo bene così, senza gelosie. Alcuni la amano, altri la scopano e basta… e dovresti vederli: più timidi sembrano, più ci danno sotto… lo vedi Franz, lì, sempre timidino, con lo sguardo basso? Si è appena fatto spompinare nella boscaglia là dietro. Lei inginocchiata per terra, sul duro. Louis Ferdinand guardava da dietro e si faceva una sega. È sempre così. Non lo vuole ammettere, ma lui preferisce guardare.»
«Ah, e… come mai?»
«Che cazzo ne so io? Sono forse il suo prete? Louis l’hai letto anche tu. Visto che sai tutto, saprai anche questo»
«Certo che tutti e due, non me l’immaginavo… sembrano molto diversi da come uno se li aspetta…»
«Questo perché tu ancora credi nell’ARTE, povero minchione. Credi che scrivere sia qualcosa di sacro, e così tutti quelli che lo fanno sono dei santoni, a modo loro. Perfino i più lerci diventano delle divinità. Il tempo si trasforma in un fiume che li lava di tutti i loro peccati. Diventano noiosi come casalinghe. Sono stati intrappolati. Ormai, qualsiasi cosa facciano, stanno facendo ARTE. Non sono più persone, sono ARTISTI. La gente non li vede più come prima. La vita diventa una pista falsata.»
«Quindi quale sarebbe la sua proposta? Distruggere l’Arte? Farne a meno?»
«Dio, quello SÌ che sarebbe bello! Una boccata d’aria, finalmente! Basta scaffali polverosi, parole difficili, noia e sbadigli. I tipi come te si troverebbero completamente spaesati, come se gli avessero spostato il mondo di sotto»
«Lei crea Arte, eppure la odia… non capisco…»
«Ok, mi spiego meglio. Ho in mente sempre questa immagine: la prima di un concerto, tutti vestiti bene, gli ottoni luccicanti, la moglie del ministro che mostra le tette, smoking e vestiti fruscianti dappertutto, un parlare forbito e sommesso, poi mentre il direttore sta per cominciare, ecco che qualcuno fa un rutto gigantesco. Imbarazzo, vergogna, teste che si girano. Il direttore fa finta di niente e attacca. La musica è divina come sempre, ma non funziona. La gente non riesce a fare a meno di pensare al rutto. Tutto è stato rovinato. L’arte è scomparsa. Ed è bastato un rutto.
Le persone che vedi qui stanotte, pazze ubriache e mezze nude intorno a questo fuoco, hanno creato tante e tante cose a prova di rutto. Non si sono mai dimenticati di una cosina chiamata Realtà»
«Qual è allora il suo scopo?»
«Poter vivere senza lavorare»
«È una truffa, quindi?»
«Vivere lavorando sarebbe una truffa –ai miei danni»
«Ma cos’è che vuole ottenere mentre compone –soldi a parte?»
«Il mio scopo è cambiare la vita di chi legge per dieci minuti. Non persone migliori o peggiori, solo diverse finchè dura il racconto o la poesia. Scrivere è un atto profondamente rivoluzionario, anche se molti se lo sono dimenticato. Quando scrivi, o lo fai per cambiare il mondo, o è meglio che non cominci nemmeno.»
«Cos’è la scrittura per lei?»
«Una diarrea mentale, con le parole che ti colano da tutte le parti, e mentre le pulisci come sai, trovi i tuoi pensieri nascosti là sotto.»
«Si nota una certa musicalità in quello che scrive. Una sorta di ritmo diverso ogni volta…»
«Per me scrivere è rock, anche quando è blues»
«Pensa a chi leggerà, quando scrive?»
«Come tutti»
«Questo non rende la scrittura meno spontanea?»
«No, la rende solo più realistica. Non viviamo nel vuoto. Anche J.D. , che vaga lì nella spiaggia da solo, anche lui scriveva pensando a qualcuno. Ciò non vuol dire svendersi o sputtanarsi. Per fare quello, ci sono mille altri modi. Tu scrivi invece avendo dei punti di riferimento, scrivi per farti capire. Non cambi le tue idee. Spesso gli scrittori che si sono rovinati lo hanno fatto perché semplicemente stavano scrivendo per le persone sbagliate»
«Pensa a questi scrittori qui, quando scrive?»
«E’ più facile che io pensi alla Ragazza»
«Scrive per lei, allora?»
«Scrivo per me. Per il mio culo e la mia anima. Non scrivo per nessun altro. Penso però a te come al barbone alla stazione, al professore universitario o al ragazzino nella sua stanza. Cerco di farmi capire. Forse muoio nel tentativo. Intanto ci provo.»
«Qual è, secondo lei, la sua grande forza?»
«Non aver smesso mai di pensare al suicidio come valida alternativa, così come un uomo sensato penserebbe alle prossime ferie al mare»
«E la sua più grande debolezza?»
«Sapere che in fondo non lo farei. Il suicidio è un po’ come Dio: anche se non ci credi, è lì. Ti basta sapere questo. E come Dio, ci pensi solo quando le cose non vanno»
«La sua più grande aspirazione?»
«Arrivare al fondo della pagina vivo. Non mi piace lasciare le cose a metà.»
«Qual è il suo messaggio?»
«E’ semplice: la vita fa schifo. Non sempre, non per tutti allo stesso modo, ma il senso è sempre quello. È universale, eppure nessuno lo dice mai. La gente ci gira attorno. I libri sono pieni di parole inutili che non vanno mai alla più semplice e vera delle conclusioni: la vita è una merda»
«Chi l’ha più influenzata?»
«I grandi scrittori italiani del ‘700 e ‘800. Mi hanno insegnato come non si dovrebbe mai scrivere»
«Cosa faceva prima di essere pubblicato?»
«Aspettavo di essere pubblicato»
«Credeva in se stesso?»
«Mai. Vivo di sensi di colpa, sentimenti di inettitudine, gloriosi doposbronza. Ma credevo nelle mie parole, certe mattine. Stavo cercando di dirmi qualcosa.»
«Vedute politiche?»
«Totalmente ateo»
«Uno scrittore che proprio non sopporta?»
«Me stesso allo specchio prima di mezzogiorno»
«E per tornare all’inizio –il libro che ha cambiato la sua vita? Quello che consiglierebbe a tutti?»
«Il libro di ieri»
«Ma questa, mi scusi!, è una contraddizione con tutto quello che ha detto!»
«E con ciò?»
«Ok, ok… può dirmi almeno perché?»
«È l’unico libro possibile. Abbiamo finito?»
«Sì, credo di sì»
«Allora basta con queste cazzate, prendi il tuo bicchiere e andiamo di là con gli altri»
L’Autore e il Giornalista si alzano. Barcollano un poco. L’Autore dà una mano al Giornalista che sta per cadere nella sabbia. Passano vicino al fuoco e arrivano nella zona della spiaggia dove sono tutti. Qualcuno gironzola ancora nella spiaggia da solo.
C’è un po’ di sangue sulla sabbia.
Poco più in là Hank finisce un’altra bottiglia di birra, la guarda un secondo e poi la scaglia nel terribile buio tutto intorno. Dal buio non arriva nessun suono. Se ne apre un’altra.
Marco Zangari © 2005
www.marcozangari.it
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