Lavorare in Australia (tratto da “Latinoaustraliana”)
– Skye ed io uscimmo ad aspettare l’autobus per la città. Era prestissimo e già c’era fila per salire. Riuscimmo miracolosamente a trovare due posti liberi. La gente aveva facce terribili, facce stitiche, già svuotate. Ti veniva da chiederti come avrebbero fatto ad affrontare 5, 8, 10 ore di lavoro con quelle facce lì. Sembravano già finiti prima di cominciare. Li mandavano avanti come pupazzetti. Avrei trovato normale se qualcuno si fosse alzato e si fosse messo a urlare e mandare tutti affanculo, invece non accadde nulla. Le donne, anche le più attraenti, sembravano tutte aver perso qualcosa di importante per sempre. Gli uomini erano immersi in un loro sogno privato dal quale non riuscivano a svegliarsi. Non vivevano la realtà, ma ogni tanto ci andavano a sbattere e la trovavano dura, fredda, pesante. Rabbrividivano e tiravano dritto, facendo finta che non fosse successo niente. Era quello che uccideva un uomo – non il colesterolo, non il cancro, ma vedere le stesse facce spente ogni mattina della tua vita. La Morte si prendeva così tanto anticipo che poi si rovinava persino il finale.
– L’idea di cercarmi un altro lavoro, sostenere un nuovo colloquio, dire che ero la persona giusta, incontrare altri subnormali, entrare in altri meccanismi di gerarchie e fingere che tutto fosse stato creato così da Dio in persona, erano tutte cose che mi davano la nausea.
– Col lavoro non se ne usciva: o morivi di fatica, o ti ammazzavi di noia. Le ore ti gocciolavano via dai polsi lentamente senza che tu potessi farci niente. Poi aprivi la busta paga e quello che ci trovavi era solo un milionesimo di quello che avevi perso per sempre.
– Sentivo il mio tempo pisciato via. Era come una morte sonnacchiosa al giorno. Mi chiedevo, ma come fa la gente a sopportarlo per 20 anni? Come avrei fatto a vivere nel mondo, a mettere da parte i soldi del mutuo, a comprarmi un SUV? Come facevano gli altri?
– Era l’idea stessa di fare qualcosa che non ti andava, con gente che non gradivi, giorno dopo giorno. Tornavi a casa violentato. Non c’era posto per la tua anima. Quella te l’eri dimenticata tra i sedili dell’autobus o mentre compravi il giornale. Non ti restava che accendere la televisione e farti rubare anche le ultime ore che ti erano rimaste. Uno stupro completo che ti potesse impedire di pensare, perché a quel punto pensare poteva essere molto pericoloso.
– Avevo di nuovo un posto dove andare ogni mattina e dal quale tornare ogni sera. Avevo di nuovo degli orari e qualcuno che decideva quando sarei andato a mangiare e quando a pisciare, e anche come vestirmi.
Ero un adulto, ed ero appena ritornato all’asilo.
– Lavavo a ciclo continuo. Il punto era non pensare. Se ti fermavi, se PENSAVI, eri fottuto. Lavori del genere li devi fare senza avere la benché minima coscienza di farli.
Brani tratto dal romanzo Latinoaustraliana (Nativi Digitali, 2015, disponibile in formato libro e ebook anche su Amazon)
Marco Zangari © 2015
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