L’inverno arriva per tutti
Questa mattina sono uscito in giardino ed era lì. Il cielo basso, costretto da nuvole grigie in uno spazio senza respiro, nuvole frustate da un vento adatto a spingere galeoni alla scoperta del mondo e a farci sentire nudi, infreddoliti, nella nostra vita dove tutto ormai è stato scoperto, conquistato e infine rovinato.
L’inverno è arrivato anche qui, in questa parte di mondo al contrario.
Lo aspettavamo, e ne siamo sempre sorpresi. Non io, però, non stavolta. Quando l’inverno te lo porti appresso, in una serie di momenti e umori che non riesci a scrollarti di dosso nemmeno ai tropici, quel cielo è solo una conferma.
Sono rimasto a fissarlo a lungo, mentre il cane cercava il suo angolo per pisciare e poi andava a inseguire foglie e farfalle che erano state ingannate dal calendario. Mi piaceva, quel cielo. I miei ricordi più belli sono legati all’estate, la primavera è sempre stata un’occasione per dare una seconda opportunità ai posti in cui vivevo, degli umori dell’autunno ho già scritto.
L’inverno è onesto. Ti dice le cose come stanno, senza contare sui riflettori del sole per strappare un applauso facile. E’ sconveniente, impopolare, malvoluto –come tutte le verità alla loro prima apparizione. E’ democratico, perchè non guarda in faccia nessuno, e tutti si beccano la loro porzione di gelo, che se la siano meritata oppure no. L’estate ti costringe a uscire, a misurarti col mondo; l’inverno ti riporta al punto di partenza, lì dove hai lasciato tutti i conti in sospeso.
L’estate è una promessa che raramente viene mantenuta.
L’inverno viene a riscuotere le nostre puntate giocate male.
L’estate è per pochi.
L’inverno, invece, arriva per tutti.
Arriva anche qui a Sydney, la città che ha eretto la spensieratezza forzata a legge, ed esclude con violenza tutti coloro che non vogliono o non sanno partecipare al suo eterno trenino. Anche in questa città, dove il sabato sera tutti sembrano vestiti per andare ad una festa in cui tu sei l’unico non invitato. Niente può farti sentire solo come un luogo dove tutti sono amici e non possono fare altro che ridere e godere il momento.
Ti frega, Sydney, perchè ti fa firmare un contratto in un giorno di sole, ti dice che tutto è facile, così facile. E allora perchè a te riesce tutto così dannatamente difficile?
I social media sono diventati il nuovo strumento per livellare l’umore, per indirizzarli tutti verso un ideale, utopico benessere che nessuno, in fondo, raggiunge mai, e tutti soffrono per non riuscire a farcela. E’ uno sgomitare, una corsa l’uno sull’altro per arrivare alla totale piattezza emotiva fatta di sorrisi, mare, amici, feste, luci, vacanze, tramonti. Partecipiamo ad un rito che in realtà ci esclude ogni giorno, e ogni giorno abbiamo bisogno di inventarci delle nuove strade per la Felicità Condivisa.
In tutto questo, non c’è ovviamente spazio per l’inverno. Abbiamo escluso dalla nostra coscienza tutto ciò che è negativo. Essere tristi è un lusso che non ci possiamo piu permettere. Sentirsi giù –ma giù davvero, non la ricerca di attenzione che pure abbonda nella vita e nei social (c’è ancora distinzione?)- è un marchio infamante, un disturbo per pochi, una menomazione da cui ci teniamo alla larga. Non guardandola, eviteremo di esserlo a nostra volta –e forse, piano piano, dimenticheremo che in fondo lo siamo anche noi, in una forma o nell’altra. Perchè non può esistere lo stare bene senza lo stare male, e non è questione di religione, o di scritte ispirazionali sul nostro Facebook. Eppure, quella parte non esiste. Non sappiamo più cosa dire a chi si sente giù, a chi sta vivendo un inverno troppo lungo, e allora non diciamo niente. Smettiamo di comunicare. Tirati su. Sorridi, dai. Ti chiamo, uno di questi giorni.
L’imbarazzo che si prova ad un funerale, ma la persona davanti a te è viva. Non ha bisogno di niente, o almeno, non delle cose che pensi tu. Faresti prima a chiederglielo, ma preferisci immaginare il peggio, e questo ti zittisce ancora prima di cominciare. E poi, c’è la grande Festa alla quale dobbiamo tornare. Il grande progetto al quale stiamo lavorando, non abbiamo tempo, mi spiace, la prossima volta sicuro. Continuiamo a credere che il senso di tutto sia in una spiaggia d’estate, col sole, il mare cristallino e nessun pensiero – eppure quella stessa spiaggia d’inverno, col mare in tempesta e l’orizzonte verde, fuso con il cielo, sarebbe molto più veritiero.
Sarebbe molto più reale.
Per questo apprezzo di più le persone con volti interessanti, uomini e donne che si portano in viso il segno delle guerre che hanno combattuto. Non parlo di quelle barbe del cazzo da hipster, nè di piercing o trucchi. Parlo di gente che si porta impressa nello sguardo ogni battaglia, che ha inciso sulla pelle i mille inverni del cuore, e rughe intorno agli occhi per un sorriso che riscalda dentro. Sono persone con delle storie, persone che hanno abbracciato le loro nuvole, che non si sono lasciate abbattere –o magari l’hanno fatto, ma sono rimaste comunque a vedere come andava a finire.
L’inverno, per loro, è un ritorno a casa, ma non perchè siano persone tristi o negative. Sentono ancora, a volte sentono di più, e non riescono o non vogliono raccontarsi altre bugie. Sanno che il benessere non arriverà da un giorno di sole, e allora ne cercano uno loro, privato, a misura. Non sempre arriva, ma loro ci contano sempre, inverno o non inverno.
Sanno che l’inverno è lungo. Per questo stringono i denti, si coprono, si preparano. Forse passeranno anche questa.
Sono pronti.
Quando torno in giardino, un timido sole si sta affacciando in mezzo alle nuvole, in questo mondo battuto dal vento. Lo guardo per un attimo, poi torno in casa.
Sono pronto.
Marco Zangari © 2017
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