“L’ubicazione del bene” – Giorgio Falco
Pietro arriva a casa dopo le otto e mezza. Anche la multinazionale richiedeva devozione totale. Le enormi perdite di tempo rientravano nell’accettazione del sistema lavorativo. Chi usciva alle sei di pomeriggio dubitava della forza aziendale. Chi usciva alle otto di sera dubitava della vita.
La settimana dedicata alle raccolte di racconti (italiani) continua. Dopo Nove e i suoi deliri, è toccato ad un libro stilisticamente agli antipodi –perché, contrariamente alle schegge impazzite di “Superwoobinda”, “L’ubicazione del bene” (Einaudi) non propone solo il racconto “classico”, ma esageratamente classico, prosciugato, incasellato, quasi rigido.
Attenzione: stilisticamente.
Perché in realtà la raccolta di Giorgio Falco è strepitosa.
Dopo poche pagine di “Onde a bassa frequenza”, il primo racconto del libro, si viene subito trascinati nel suo mondo –un mondo grigio, duro, inesorabilmente squallido, che è poi il mondo dove vive la maggior parte di noi. I racconti di “L’ubicazione del bene”, infatti, trattano degli abitanti dell’immaginaria Cortesforza, una cittadina satellite fuori Milano. Storie banali, normalissime, fin troppo verosimili –quasi inquietanti, come se fossero un ritratto di noi visto da fuori, sicuramente non da una prospettiva affascinante. Pendolari, lavoratori autonomi, coppiette in crisi, divorziati, pensionati: nel libro i protagonisti sono i vicini di casa, quelli del piano di sotto, siete voi e me. Il racconto che da il titolo alla raccolta riassume in sé il concept stesso del libro: in “L’ubicazione del bene” un uomo che si sta separando dalla moglie racconta da fuori le storie e le vite degli altri abitanti della sua via, i loro tic e le loro miserie. Il tutto mentre si muove tra i cocci del proprio matrimonio (bellissima la descrizione di una gita allo zoo safari, una domenica, insieme a un’altra coppia e relativi figli).
Gli altri racconti sono agghiaccianti nella loro normalità senz’aria, nei loro problemi quotidiani, nei rapporti che si logorano. Falco è bravissimo a scegliersi i suoi personaggi, mischiando un linguaggio a volte infarcito di tecnicismi e descrizioni a espressioni come “ci salutiamo, sollevo la mano destra come alla votazione di un’assemblea nella quale sono in minoranza”. La raccolta è la crisi raccontata da dentro, economica e spirituale, di rapporti e di ruoli. Cortesforza raccoglie ambizioni e sogni di gente che si è scontrata con la realtà e ha avuto la peggio.
Stilisticamente, come detto prima, Falco opta per un linguaggio asciutto, crudo, minimale come quello di Carver, seppur di respiro diverso. Le storie vanno avanti senza veri picchi, ma utilizzando immagini potenti che ricordano costantemente al lettore che si sta parlando anche di lui, di una realtà dal quale sta cercando di fuggire. D’altronde è lo stesso Falco a scriverlo:
Ho raccontato alcune storie (…). Io vivrò in questo posto ancora per poco, ma adesso sono qui, senza un colpo di scena, un addio al check-in dell’aeroporto, senza una scena di sesso, un letto d’ospedale, la sensazione di minaccia incombente, un momento felice durante l’antipasto, senza una donna nuda sulla bilancia, un personaggio leggendario che ha sempre la battuta intelligente, tre righe dall’inizio e subito un dialogo edificante.
Ecco: “L’ubicazione del bene” è qui.
Ho rotto le scatole ai miei amici in questi giorni, ora le rompo anche a voi: leggetelo, leggetelo, leggetelo. Forse non è allegro né brilla particolarmente –ma è di voi che si sta parlando.
Buona lettura.
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