“Ogni cosa che tocco è un’astronave” – Alberto Calligaris
Della mia storia d’amore con Calligaris sapete già tutto (se non lo sapete, potete leggerlo qui), e va avanti con un parallelismo pieno di coincidenze che non lo sono, al punto che ormai sono sicuro che un giorno ci ritroveremo a Udine, a Sydney, in Cornovaglia, a bere un whisky che inghiotta tutte le parole che sono rimaste di fuori.
Perché solo le parole giuste sono rimaste dentro questo “Ogni cosa che tocco è un’astronave”, romanzo del 2014 pubblicato dalla ‘round midnight edizioni su cui ho avuto la fortuna di mettere le mani. Più ancora che nel suo “Il volo delle anatre al rovescio”, infatti, la prosa è tagliente e le parole perfettamente accatastate e scorrevoli.
Tutto questo senza neanche menzionare il fatto che è una gran figata di libro.
Potrei raccontarvi la trama, ma con Calligaris sarebbe come voler imbottigliare un torrente in piena –e, a giudicare dalle svolte della storia, qualcuno deve aver sciolto qualche sostanza allucinogena nell’acqua…
Vi dirò solo che la protagonista della storia, Sara, una normale commessa di una normale libreria di Udine, si ritroverà suo malgrado a dover affrontare un viaggio in camper attraverso l’Europa, inseguita da degli scagnozzi improbabili, armata di una spada, e alla ricerca del reggiseno di Sylvia Plath.
E non vi ho nemmeno accennato alle parti più folli del romanzo. Fate un po’ voi.
Come al solito Calligaris prende generi diversi, dal noir al thriller, mischiandoli senza freni ai toni da commedia, a riflessioni esistenziali e pezzi erotici, fregandosene di qualunque classificazione, cercando di nascondere la cosa più importante: che questo libro, in fondo, parla d’amore.
L’amore di Sara, certo, che si confronta con diverse figure maschili lungo tutta la storia, scoprendo che non sono mai adatte, capendo forse che sono solo riflessi e appigli di quello che è lei in quel momento, e di tutto ciò che le fa paura.
Ma “Ogni cosa che tocco” è anche una storia d’amore per le storie. I libri sono al centro di tutte le vicende improbabili del romanzo, e in più parti Calligaris si ferma a riflettere sull’importanza del raccontare storie, e anche dell’ascoltarle. Ci sono libri che bruciano, dice ad un certo punto uno dei protagonisti. Le storie assumono un potere salvifico, quasi sciamanico, tale da poter guarire le ferite del corpo, o quantomeno fartele dimenticare.
Di sicuro, sono capaci di farti innamorare.
Lo stesso reggiseno della Plath, al centro dell’intrigo del libro, è un simbolo potentissimo: creduto capace di dare, a chi lo indossa, l’abilità di scrivere dei capolavori, finisce per rappresentare l’illusione che scrivere sia appunto “solo” questo, qualcosa che c’è e non c’è, e non vada invece guadagnata a morsi, partendo dalla fame a cui si rifà la citazione iniziale.
Questo romanzo vi farà ridere, vi farà riflettere, vi risucchierà tra le sue pagine che finirete prima di quanto vorrete, e vi farà capire una cosa: a Calligaris non serve proprio nessun reggiseno.
Maledizione, leggete ogni cosa che quest’uomo ha scritto –e che ha trasformato in astronave.
Io lo aspetto ancora con quel whisky in mano.
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