A volte scendi e spingi

Mi è venuto un pensiero l’altra notte, tra la quinta e la sesta birra. Mi è venuto da pensare che non dovremmo mai credere al nostro Presidente, al nostro Dio, al nostro Sistema di Rappresentanza, al nostro Idolo delle Masse, al nostro Grande Artista.
Non per motivi ideologici, no, non per anarchie o ribellioni adolescenziali.
Non dovremmo credergli perchè, anche se sono nostri, di noi non sanno niente. Non sanno una beata mazza di cosa ci passa per la testa una notte che non dormiamo, quando montiamo in macchina verso nessun posto, ed esattamente a metà tragitto, in piena oscurità e senza nessun cartello stradale, ci rendiamo conto di aver finito la benzina.
A questo punto, in questo buio senza respiro che nè il Presidente nè Dio nè il Grande Artista condividono con te, ti viene da pensare solo una cosa.
E adesso?

Ho scritto l’ultimo pezzo per il Morgana (recensioni a parte) ben 4 mesi fa. Dopo, più niente. Avrei dovuto scrivere della vita, e invece la vita è spuntata di notte mentre provavo a dormire & dimenticare, mi ha fatto vestire in fretta e mi ha detto di salire in macchina, senza troppe spiegazioni.
Mentre guidavo, all’inizio, ho cercato di pensarmi altrove. Il sonno mi aiutava ad immaginarmi camminare su un campo erboso, perfettamente curato, mentre in una mano reggevo un vassoio pieno di ostriche, nell’altra tenevo un contenitore con ghiaccio e vino, sulla spalla una salvietta bianca immacolata, e intorno a me esplodevano colpi di mortaio. Io li scansavo senza pensarci, prendendo traiettorie zigzaganti, assolutamente casuali e piene di grazia, mentre le schegge mi finivano sul braccio e sulle gambe ma non spostavano di un mllimetro le ostriche o il vino. Il sole splendeva alto ed io camminavo senza meta, circondato da piccole sorde esplosioni. Era sempre andata bene, perchè non sarebbe dovuta continuare così? Impari un trucchetto e poi lo utilizzi ogni volta con gli stessi risultati.
La vita, seduta dietro, ha cominciato a ridere. Mi sono voltato, e in quel momento ho capito di aver messo qualcosa sotto.

Sono sceso e ho controllato. Naturalmente non c’era niente sotto, nonostante il buio lo capivo lo stesso, ma qualcosa c’è sempre comunque. Può essere il tuo tempo, o qualche ideale ammaccato, o quella cosa che ti piaceva fare –quella persona che ti piaceva pensare di essere. Qualcosa, in questo buio, finisci sempre per metterla sotto.
Sai come va: la gente intorno comincia a guardarti male –riesci a distinguerla anche in questa oscurità che stordisce. Non sono interessati alla tua versione, non gli interessa sapere se eri entro i limiti o se ti hanno attraversato all’improvviso: vogliono un colpevole per le loro sere fredde, e adesso ce l’hanno. Qualcuno che valorizzi ogni loro sorriso forzato con un po’ di dolore reale.
Niente, ti conviene risalire in macchina e partire. Inutile stare lì a spiegare: c’è così tanto buio che potrebbero non capire.

In macchina cominci a raccontare qualche storiella per far passare il tempo. Provi a ridere di qualcunque cosa, e ti riesce sempre meno a poco a poco che i chilometri aumentano. La strada è piena di fossi, alcuni così grandi da non crederci, ma tu scherzi e questo sembra farti sentire meno i colpi, sembra ammortizzare le botte che arrivano –ma che bisogno c’è di essere seri? Ridi, dai, ridi! Oggi siamo qui in giro, domani chi lo sa! Ahahahah! Ridi passando panorami deserti, case con le luci spente, auto ferme e con la batteria ormai scarica –e tu ridi!- mentre fai finta di non aver visto che il livello della benzina sta scendendo, che la batteria non è messa benissimo –ridi, dai!- come hai sempre fatto, un altro trucchetto che ha funzionato alla grande, finchè un sobbalzo non ti fa sbattere contro il volante, e adesso sorridi e senti sulla lingua il sapore del sangue, e negli occhi seri, un po’ umidi, quel buio che sembra non finire mai.

Va bene, adesso basta. Hai provato a far finta di niente, hai provato a ridere, ma ne hai abbastanza di girare a vuoto senza meta. La vita è ancora seduta dietro a guardare fuori dal finestrino, in silenzio, tutto quel nulla.
Ti poni una meta in mente, la prima raggiungibile –una cena, un viaggio, il primo giorno di ferie- non dev’essere grande, solo fuori da questo nero. Cominci a dirigerti, a progettarla e poi a desiderarla, a vederla come oasi, come sosta in tutto questo guidare senza meta –e una volta lì, capisci che finalmente ti potrai fermare, scendere, sgranchirti le ossa, cominciare a respirare. Distogliere la vita da quel finestrino che osserva con morbosa compassione. Sali di marcia e vai, vai, cazzo vai. Ti torna quasi il sorriso. Uscirai da quel buio, è deciso.
Poi vedi qualcosa davanti a te. Cavalletti, transenne, fiaccole. Di qui non si passa. E’ successo qualcosa, più avanti. Cosa? Una malattia, un licenziamento, una donna, un litigio, i soldi che non ci sono. A volte un piccolo tamponamento, a volte qualcosa di molto peggio –sufficiente sempre, comunque, per farti fare una deviazione. Solo che tu quella deviazione non te la puoi permettere. La prendi lo stesso perchè non hai alternative, e a un certo punto finisci la benzina.

Sei fermo lungo la strada. Forse la cosa migliore è aspettare che passi qualcuno, perfino che arrivino i soccorsi. Intanto guardi il fuoco alto, lì sopra le transenne, che danza nel buio illuminando rughe trucchi e facili rimedi. Ti lasci quasi ipnotizzare da quel calore, da quell’orrore. La tua possibilità di fuga e di ristoro è andata. La cosa migliore è aspettare, ti dici.
Qualcuno, alla fine, dovrà pur passare.

Probabilmente il nostro Presidente, il nostro Dio, il nostro Capo, il nostro Grande Artista, sapranno molte cose –ma sono abbastanza sicuro che non sappiano cosa provate in quella macchina ferma a bordo strada, lontano dalla salvezza, persi nel nero e con l’incendio che minaccia di bruciare tutta la foresta.
Allora io preferisco tenermi le Cose Piccole, quelle che danno gioie che è difficile spiegare a chi non è tornato a casa un giovedì sera con le ossa a pezzi e ha trovato una sedia e un sorriso, o a chi si fa prendere dall’esaltazione di una domenica mattina di sole che parla con parole di canzone, o di gente che sta bene a stare seduta intorno ad una tavola senza bisogno di molto altro.
Le Cose Piccole, che ho cantato e spero di continuare a cantare, nel poco che ho pubblicato e nel tantissimo che ho qui sepolto, nato per piacere e necessità, e che mi ricorda dove ho le braccia, dove le gambe, dove la testa, dove tutto il resto.
Le Cose Piccole, come un sorriso di passaggio in un giorno che sembra la fine del mondo.

Potresti aspettare, certo. Potresti invocare, pregare, potresti incazzarti, mandare tutti affanculo, potresti prendertela con qualcuno, con gente a cui vuoi bene, potresti essere ingiusto come i Grandi, distante come i Grandi. E a volte resti lì bloccato per ore e anni, incapace di fare un passo, in eterna attesa.
A volte, invece, scendi e spingi.
Massacrante, perfino insensato. La vita resta seduta a fare zavorra. In più ti allontani dalla strada che sai, non sai se raggiungerai la salvezza che ti eri prefissato e intanto l’incendio sembra squarciare la notte dal di dentro.
Tu però continui a spingere.
A volte, è tutto quello che ti resta da fare.

 

Marco Zangari © 2017
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(foto: M. Restuccia)

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